IL PRETORE
   Sciogliendo  la  riserva,  visti  gli  atti della causa promossa da
 Pietro Dupont nei confronti di Heineken  Italia  S.p.a.  con  ricorso
 depositato   il   31  agosto  1996  e  diretto  a  sentir  dichiarare
 illegittimo il suo disposto  trasferimento,  quale  dipendente  della
 societa' convenuta, dallo stabilimento di Pollein (Aosta) a quello di
 Messina per asserito contrasto con la legge 27 dicembre 1985, n. 816.
                             O s s e r v a
   E'  pacifico  in  causa  che  Pietro  Dupont,  impiegato  presso lo
 stabilimento di Pollein della Heineken Italia S.p.a. (gia'  Dreher  e
 S.I.B.  S.p.a.)    dall'anno  1969,  e' stato, dopo la sua elezione a
 consigliere comunale e la nomina ad assessore  comunale  di  Pollein,
 posto,  a  sua  richiesta,  in  aspettativa  non retribuita, ai sensi
 dell'art. 2 della legge n.  816/1985, dal giugno 1989 sino al  maggio
 1995  (cfr.,  al riguardo, la memoria difensiva di parte convenuta  a
 f. 4), mese nel quale ha avuto termine il mandato elettorale (cfr. la
 dichiarazione resa in proposito dal  ricorrente  all'udienza  del  21
 giugno 1996).
   Dopo  una  fase  interlocutoria  successiva  al termine del mandato
 Heineken Italia S.p.a. ha, con missiva in data 28 luglio  1995  (doc.
 n.  4 di parte ricorrente), comunicato al Dupont il suo trasferimento
 allo stabilimento di Messina con decorrenza  dal  1  settembre  1995:
 trasferimento  che,  per  quanto  si evince dalla stessa difesa della
 societa' convenuta, sarebbe  state  determinato  dal  fatto  che  "la
 posizione  (nello  stabilimento di Pollein) gia' di Dupont" era stata
 intanto "occupata dal sig. Martello il quale, peraltro, non si occupa
 piu' esclusivamente solo di acquisti, come faceva il  ricorrente,  ma
 anche  di  altre  mansioni":  con  asserito  conseguente  cambiamento
 dell'organizzazione del lavoro dello stabilimento di Pollein  cui  si
 sarebbe   accompagnata  anche  una  diminuzione  della  forza  lavoro
 impiegatizia passata da quarantatre a trentotto dipendenti  (cfr.  la
 memoria di parte convenuta a f. 5).
   Emerge,  in  fatto,  dalle risultanze di causa, per quanto precede,
 che Pietro Dupont e' stato trasferito dallo stabilimento di  Pollein,
 a  seguito  della  situazione  nello  stesso  venutosi  a  creare  in
 conseguenza (o anche in conseguenza) del suo mandato  elettorale,  in
 momento posteriore alla cessazione del medesimo.
   Ai sensi dell'art. 27, legge 27 dicembre 1985 n. 816 "i consiglieri
 comunali  e  provinciali  che  sono lavoratori dipendenti non possono
 essere soggetti  a  trasferimenti  durante  l'esercizio  del  mandato
 consiliare,  se  non  a richiesta o per consenso". Ne consegue che la
 norma, evidentemente finalizzata allo scopo  di  tutelare  i  diritti
 politici  (ed,  in  particolare,  quello  di  elettorato passivo) dei
 cittadini svolgenti attivita' di  lavoro  dipendente,  concerne,  per
 quanto  ne  palesa  la  lettera, unicamente le iniziative assunte dal
 datore di lavoro nell'ambito del periodo  di  esercizio  del  mandato
 politico mentre il trasferimento per cui e' causa si colloca, invece,
 in momento posteriore.
   Cio' premesso, non pare che una interpretazione meramente estensiva
 della  norma  citata  consenta  di  ritenere  da essa disciplinata e,
 cosi',  tutelata  anche  la  fattispecie   oggetto   della   presente
 controversia.
   L'interpretazione estensiva, come e' stato precisato "non amplia il
 contenuto  effettivo della norma ma impedisce che fattispecie ad essa
 soggette si sottraggano alla  sua  discplina  per  un  ingiustificato
 rispetto  di  manchevoli espressioni letterali" (Cass. 29 aprile 1974
 s.n.; 15 settembre 1970 n. 1453): l'opera dell'interprete non sembra,
 tuttavia, poter procedere oltre l'attribuzione alla norma oggetto  di
 esegesi  del  o  dei  significati piu' ampi fra quelli obiettivamente
 consentiti dai termini che la compongono e dalle frasi nelle quali si
 articola.  In  relazione   al   limite   intrinseco   dell'operazione
 ermeneutica  propria dell'interpretazione estensiva non pare, dunque,
 che l'espressione  "trasferimenti  durante  l'esercizio  del  mandato
 consiliare"  possa  essere  intesa come trasferimenti "in dipendenza"
 dell'esercizio del mandato consiliare anche se ad  esso  anteriori  o
 posteriori (come nel soggetto caso) invece che contemporanei.
   Ritiene,  per  contro, questo pretore che tale esito interpretativo
 potrebbe essere (agevolmente, in  astratto)  attinto  attraverso  una
 interpretazione    analogica.    Essa,    infatti,    si    sostanzia
 nell'assimilazione alla fattispecie oggetto di  previsione  normativa
 di   una  (diversa)  fattispecie  che  essa  non  contempla,  neppure
 procedendo alla sua interpretazione estensiva: assimilazione  operata
 sul   presupposto   della   ricorrenza  di  una  somiglianza  tra  la
 fattispecie considerata  dal  legislatore  (ovvero,  in  ipotesi,  la
 fattispecie  che  la  norma consente di considerare attraverso la sua
 interpretazione  letterale)  e  quella  oggetto  di  esame  da  parte
 dell'interprete.
   Il   ricorso   all'interpretazione   analogica   sembra,  tuttavia,
 precluso, nel caso di specie, dall'art. 14  delle  preleggi  al  cod.
 civ.  il  quale  pone,  appunto, il divieto di applicazione analogica
 relativamente alle norme speciali: e tale sembra  essere  l'art.  27,
 legge  27 dicembre 1985, n. 816 il quale pone dei limiti in ordine al
 potere di disposizione del datore di lavoro circa le scelte del luogo
 di svolgimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente a
 fronte della generale  previsione,  contenuta  nell'art.  2103  c.c.,
 secondo  la  quale  il  lavoratore  "non puo essere trasferito da una
 unita' produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche,
 organizzative e produttive":   cio' che evidentemente,  trasposto  in
 omologa  asserzione  positiva,  comporta, quale generale facolta' del
 datore, quella di trasferire il dipendente con la sola condizione che
 sussistano  comprovate  esigenze  di   natura   obiettiva   attinenti
 all'esercizio dell'attivita' d'impresa.
   Tutto  cio'  premesso  ed  a fronte dell'ampio potere del datore di
 lavoro  in  ordine  al  trasferimento  del   dipendente   configurato
 dall'art.    2103 c.c. sembra che la norma che ad esso fa eccezione a
 tutela dei diritti politici dei  cittadini  -  lavoratori  dipendenti
 rinvenga   i   limiti   interpretativi  e  quindi  applicativi  sopra
 considerati. Con la conseguenza che essa  vieta  i  trasferimenti  in
 caso  di  mandato consiliare (salvo quelli richiesti o consentiti dal
 dipendente) ma  non  quelli  disposti  prima  e,  per  cio'  che  qui
 interessa,  dopo  l'espletamento  del  mandato ma in dipendenza dello
 stesso.
   Sembra  allora  prospettarsi,  in  relazione  a quanto precede, una
 ingiustificata disparita' di trattamento a  fronte di situazioni  che
 appaiono,  invece, sostanzialmente assimilabili e cio' con riguardo a
 diritti oggetto di  tutela costituzionale.
   Si osserva, infatti, che, ai sensi dell'art. 51, primo comma, della
 Costituzione "tutti i cittadini dell'uno e dell'altro  sesso  possono
 accedere  agli  uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni
 di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge" ed  ancora
 che  (art.  51,  terzo  comma  della Costituzione) "chi e' chiamato a
 funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto  di
 lavoro".  D'altro  canto  ai  sensi  dell'art.  41 della Costituzione
 l'iniziativa economica privata non puo' svolgersi in modo "da  recare
 danno  alla  sicurezza,  alla  liberta',  alla  dignita' umana" anche
 sussistendo, in relazione a cio', l'esigenza di  non  pregiudicare  i
 diritti di elettorato passivo.
   Il  divieto  di  trasferimento  in  corso di mandato elettivo posto
 dall'art. 27 della legge cit.  certamente  tutela    l'interesse  del
 cittadino   eletto   all'effettivo   svolgimento   del   mandato,  in
 particolare ove il dipendente non abbia richiesto di esser  posto  in
 aspettativa):    invero,  tale interesse ben puo' essere pregiudicato
 dal trasferimento in altra sede di lavoro giacche' la lontananza  dal
 comune  o  dalla provincia per la quale e' avvenuta l'elezione a cio'
 connessa  e'  atta,   in   concreto,   a   pregiudicare   l'esercizio
 dell'attivita'  politica.    Sotto questo profilo sarebbe sufficiente
 che il divieto di  trasferimento  concernesse  solo  il  periodo  del
 mandato  elettivo.  La  norma  sembra,  pero', anche finalizzata alla
 tutela dell'interesse alla conservazione tout  court  dell'originario
 luogo   di   lavoro   senza   che   su  cio'  possa  avere  influenza
 pregiudizievole  l'esercizio  del  mandato  se   cosi'   non   fosse,
 persisterebbe  per  il  dipendente  un  forte  fattore di dissuasione
 all'esercizio dell'incarico elettivo connesso al  timore  di  subire,
 prima  o  dopo  ed a causa dello stesso, conseguenza per lui negativa
 quale certamente puo' essere il trasferimento.
   D'altro  canto,  l'interpretazione  sistematica  della   legge   n.
 816/1985   conduce  a  considerare  la  collocazione  in  aspettativa
 retribuita durante il mandato come ipotesi tipica (vedasi sub art.  2
 legge cit.): rispetto alla quale il divieto di trasferimento acquista
 senso  non  in  prospettiva  di garanzia dell'effettivo esercizio del
 mandato bensi' in prospettiva di tutela dell'interesse del lavoratore
 a non    essere  soggetto  a  trasferimenti  di  sede  con  tutte  le
 difficolta' di ordine personale e pratico a cio' connesse.
   Sembra, in sostanza, che tale prospettiva di trasferimento, sia che
 esso  avvenga,  durante  il  mandato  sia che si verifichi dopo ma in
 dipendenza  dello   stesso,   possa   determinare   un   apprezzabile
 pregiudizio  per un essenziale diritto politico del cittadino nonche'
 per il diritto al lavoro in condizioni (che non  appare  equo  siano)
 pregiudicate  o  pregiudicabili dall'esercizio di un mandato elettivo
 cosi',  in  conclusione  prospettandosi   come   non   manifestamente
 infondata (oltre che rilevante in causa) la questione di legittimita'
 costituzionale  della  norma  piu' volte ricordata nella parte in cui
 consente il trasferimento di coloro  che  hanno  svolto  funzioni  di
 consiglieri  comunali  e  provinciali in dipendenza delle conseguenze
 venutesi a creare per il  datore  di  lavoro  a  causa  del  precorso
 esercizio  del  mandato  consiliare. Tanto in relazione agli articoli
 51,  terzo  comma,  41,  secondo  comma  e  3,  primo   comma   della
 Costituzione   sotto   il  profilo,  per  questa  ultima  norma,  del
 trattamento immotivatamente deteriore riservato dall'art.   27  legge
 cit.  all'eletto  che  sia  trasferito dopo il mandato (ma a causa di
 esso) rispetto a chi lo sia durante l'esercizio dello stesso.